sabato 5 luglio 2008

Tomasi di Lampedusa: Il Gattopardo

Zione sei una bellezza stasera. La marsina ti sta alla perfezione. Ma cosa stai guardando? Corteggi la morte?

La domanda di Tancredi, dietro il suo sorriso beffardo ed ironico, durante il ballo a palazzo Ponteleone sintetizza quello che è il tema principale de “Il Gattopardo”: la morte, il disfacimento, la polvere. Un mucchietto di polvere livida sono le parole con cui si chiude il romanzo e nunc et in hora mortis nostrae quelle con cui si apre, in una circolarità analoga a quella del primo capitolo, che si snoda nell’arco di ventiquattro ore, da una recita all’altra del Santo Rosario. Morte che puntualmente fa capolino in ogni pagina del romanzo, per poi materializzarsi nei panni di una donna piacente e desiderabile in quello della morte del Principe.

Il paesaggio siciliano carico di odori travolgenti, di luce abbacinante fa da contrappunto ai sentimenti del protagonista e degli altri personaggi del romanzo, che fanno della dissimulazione e dell’impossibilità a mutare realmente il loro stile di vita un punto d’orgoglio. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi! È infatti una delle frasi di questo romanzo divenute celebri. Anche qui è Tancredi a dirla allo zio nel momento in cui decide, con un’avventura audace e predatoria delle sue, di unirsi a Garibaldi e ai Mille, così come poco dopo avrebbe rinunciato all’amore della contegnosa cugina Concetta per il matrimonio ricco con la bella Angelica Sedàra, figlia di Don Calogero, nipote di Peppe ‘Mmerda.

La vicenda del romanzo è ambientata ai tempi dell’unità d’Italia, in un momento in cui la grande aristocrazia isolana vive la sua ultima stagione di grandezza. Don Fabrizio guarda con distaccato disincanto sia al passato regime di “Franceschiello Dio Guardi” che ai Piemontesi del re Galantuomo. Quello che bisogna scongiurare, per preservare ancora un paio di generazioni la grandezza del Gattopardo, il fasto sbrecciato della nobiltà, è la Repubblica di don Peppino Mazzini. Ma è don Ciccio Tumeo a farci riflettere con il suo voto per i Borbone al plebiscito trasformato da Don Calogero in un’ovazione per i Savoia. L’ambientazione porta inevitabilmente a discutere se si tratti o no di romanzo storico, ma ritengo che si tratti di una mera disquisizione accademica: i romanzi siciliani sono storici e antistorici nello stesso tempo, da Mastro don Gesualdo a Conversazione in Sicilia da I Viceré al Gattopardo.

Due note personali su aspetti di minor conto che non cessano di stupirmi ad ogni rilettura.
L’ironia e il disincanto del narratore onnisciente che si affaccia di tanto in tanto nelle pagine del romanzo con notazioni che ci richiamano al tema del disfacimento e della morte: Si credevano eterni: una bomba fabbricata a Pittsburg, Penn. doveva nel 1943 provar loro il contrario.
E certi passaggi impareggiabili, uno tra tutti:
Ma gli altri… C’erano anche i nipoti: Fabrizietto, il più giovane dei Salina, così bello, così vivace, tanto caro.
Tanto odioso. Con la sua doppia dose di sangue Màlvica,…

Nulla cambia.